Sigla di coda di “Teledurazzo”

Chi ha montato questo video, su “Meraviglioso” di Modugno, è un genio.

Le immagini fanno riferimento allo sbarco in massa di alcuni albanesi in fuga, che nell’agosto 1992, a bordo della “Vlora”, raggiunsero una Bari che non aveva mai visto nulla del genere.

Samia, l’ultimo posto

Questo è il mio regalo per  voi. E’ una storia bellissima nella sua drammaticità. Mi sarebbe piaciuto non fosse vera, invece è verissima. Mi sarebbe piaciuto essere stata in grado di creare un personaggio così straordinario ma la realtà è stata più brava di me. Parla di sport, di lotta, di determinazione, di vita e di dignità umana.

E’ la storia di una ragazza che non si è mai arresa, una giovane donna che si è attaccata con tutte le sue forze a un sogno. E’ una persona che merita di essere ricordata mentre noi tutti meritiamo di conoscerla.

Ci sono storie che finiscono per caso nel cuore di qualcuno. Non solo nel mio c’è un posto privilegiato per lei, ma da quando ho conosciuto la sua vicenda ho sentito il dovere di doverla raccontare, di non rompere la catena che qualcuno, in diversi momenti e in diversi spazi, stava già contribuendo a costruire.

Questa storia è conclusa, il finale non può essere riscritto. Per lo meno per la protagonista. Noi lo possiamo cambiare solo se prestiamo ascolto a questa vicenda umana. Perché è attuale, e riguarda tutti noi. Oggi più che mai è attuale, se qualcuno ha scritto una manciata di ore fa che i nomi sono storie e a volte rimangono celati come le storie che ci stanno dietro.

Io non voglio che questa storia si disperda al vento. Questo non può succedere anche solo perché io ho questa storia. E’ già una conquista. Adesso la voglio condividere.

Questa è la storia di una ragazza che correva veloce, di un’atleta olimpica. E’ nata nel  deserto ed è morta in mare. Niente di lei è rimasto sulla terra. Ma molto ancora c’è da perdere se perdiamo la sua storia.

Samia Yusuf Omar è nata a Mogadiscio il 25 marzo 1991 ed è morta da qualche parte nel Mediterraneo un giorno di aprile 2012. Se qualcuno ha guardato le Olimpiadi di Beijing nel 2008, si ricorderà un puntino disperato che correva in pista mentre il pubblico faceva il tifo per lei. Quel puntino era Samia.

correre

E’ arrivata ultima. Conscia di dover molto migliorare le sue prestazioni, dopo Beijing sognava di raggiungere l’Europa per allenarsi, nel suo Paese non era possibile farlo adeguatamente. Tra le minacce di chi crede che le donne debbano a stare a casa, poi. Tra la guerriglia, poi. Senza cibo, poi.

Lei non ascolta nessuno, non ne vuole sapere, vuole solo salpare. La mamma non riesce a convincerla, e alla fine vende il piccolo pezzo di terreno per darle i soldi per il viaggio. Samia attraversa il deserto, arriva in Libia, e si ammala. Ma è una ragazza dura, si rimette in sesto, e riesce a salire su una barca. Destinazione: Italia. Mi sembra di sentire la sua speranza farsi sempre più incontenibile, nonostante gli orrori che deve aver visto. “Ecco, è fatta, tra poco potrò coltivare i miei muscoli e i miei sogni, correre, correre, correre”. Me la immagino così, invicta, che sparisce nel profondo del mare. Qualcosa è andato storto, i sopravvissuti hanno riferito che la ragazza è caduta in acqua e non ce l’ha fatta.

Io mi ricordo di Samia alle Olimpiadi. Quella fascia bianca, la maglia larga, la sua compostezza nonostante la sofferenza per lo sforzo non adeguato alla preparazione. 2008, agosto. Poi un salto temporale fino alla primavera scorsa. Leggevo dei quotidiani spagnoli, scopro che a Madrid un’autrice di teatro stava mettendo in scena un’opera teatrale ispirata alla vicenda di Samia. L’articolo sulla piece teatrale per me è stato l’inizio di un piccolo viaggio alla ricerca di questa ragazza.

Ho scoperto che in Italia se n’è parlato poco. Ho scoperto che una giornalista era in contatto con lei prima della tragedia, cercando di dissuaderla dal viaggio – voleva scrivere un libro sulla sua storia che forse l’avrebbe portata in Europa (Samia non volle, aveva troppa fretta). Ho scoperto che c’è un giornalismo sportivo che intinge la penna in inchiostro d’oro, come quella di Charles Robinson, autore di uno splendido articolo sugli atleti somali scritto durante le Olimpiadi. Un articolo sul senso delle Olimpiadi dalla parte di quelli che arrivano ultimi ma che gareggiano con un amore forse più disperato.

Ho pensato moltissimo a Samia. Un giorno l’ho sognata, l’abbracciavo in lacrime dicendole che mi dispiaceva per quello che l’era accaduto. Ogni giorno, dalla scorsa primavera, ho desiderato parlare di lei, ho iniziato a documentarmi, a scrivere email a chi l’aveva conosciuta. La mia ricerca continua, e sempre lo sarà. Ma oggi volevo fare questo regalo a chi vorrà semplicemente conoscere questa storia, e onorare il ricordo di un’atleta che non si è mai arresa, come i veri vincitori.