Un lungomare dedicato a Samia

Col supporto delle donne e degli uomini che lavorano per il progetto Toponomastica Femminile , su Dol’s Magazine ha trovato spazio la proposta di dedicare a Samia uno spazio pubblico, magari a Lampedusa; uno spazio che guardi il mare.

http://www.dols.it/2016/02/21/lampedusa-un-lungomare-per-samia/

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Anche il giornale catalano Lavanguardia aveva pubblicato un riferimento alla stessa proposta:

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Forza! Perché il ricordo di Samia corra con le nostre gambe!

La scrittrice brasiliana Carla Guimarães porta a teatro a Madrid la storia di Samia

Ero in pausa caffè e sfogliavo le pagine virtuali del giornale ‘LaVanguardia’.

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Un titolo, una stringa, catturò la mia attenzione: ‘La tragedia dell’atleta olimpica somala arriva a teatro’.

L’articolo parla dell’opera, liberamente ispirata alla vita di Samia, scritta da Carla Guimarães e portata a teatro nella capitale spagnola nell’estate del 2013.

E così ho conosciuto Samia.

http://www.lavanguardia.com/cultura/20130717/54377865631/tragedia-atleta-olimpica-somali-llega-teatro.html

MEI – Museo Nazionale Emigrazione Italiana

Compiuta Donzella

Il MEI – Museo Emigrazione Italiana, Roma.

Non sapevo che nella pancia dell’Altare della Patria a Roma fosse ospitato il Museo Emigrazione Italiana. Mi ci sono imbattuta per un fortunato e fortuito caso, scoprendo che racchiude un piccolo tesoro culturale fatto di tantissime storie di emigrazione italiana. Riporto qui le scritte esplicative riportate sui muri, censuro invece le lacrime che non ho trattenuto nel vedere le fisarmoniche provenienti dall’Argentina, le valigie un po’ da tutto il mondo,  i vademecum per gli Expat del secolo scorso, i beauty case di giovani spose. Per favore, visitatelo.

DALLE PARETI DEL MEI

Se i Cavour, Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II hanno ‘fatto l’Italia’, a ‘fare gli Italiani’ hanno contribuito, in maniera particolare e spesso ignorata, anche i milioni di emigrati che, lasciando il proprio paese durante la sua unificazione politica, hanno portato con sé valori e tradizioni, li hanno messi in relazione (non senza…

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L’articolo di Charles Robinson del 24 agosto 2008

‘C’è qualcosa che deve essere detto per quelli che finiscono lontano dalle luci della ribalta. Quelli che finiscono ultimi e vanno via col loro orgoglio’.

Deve amare correre‘ (Sheniqua Ferguson)

                                                                                                                                                                          ‘Run baby, Run!’ (Sheryl Crow)

SamiaYusufOmarBLOG

Italia, 11 gennaio 2013.

Mentre a Milano il Ministro all’Integrazione Cecile Kyenge viene contestata da una piccola folla e successivamente derisa sul web da alcuni esponenti della Lega Nord, Roberto Saviano pubblica su La Repubblica una recensione per il libro di Giuseppe Catozzella, ‘Non dirmi che hai paura’. Sono felice. Il libro è la storia di Samia. In pochissime ore gli ‘I like it’ sulla pagina ufficiale di Saviano sono 1200, poi 3000, in serata 6000. In questo momento, 2:08 di domenica 12 gennaio sono 3500.

Oggi pubblico il mio secondo contributo alla diffusione della storia. È la traduzione di un articolo di Charles Robinson che ha intervistato i due atleti Somali a Beijing nel 2008. L’articolo di Charles, giornalista presso Yahoo!Sport, è forse uno degli articoli sportivi più belli che abbia mai letto. Passa velocemente, come una curva a gomito, dal racconto della competizione al racconto della vicenda umana senza che il repentino cambio di direzione leda la bellezza di quanto scrive. Mette insieme due pezzi di mondo lontanissimi, Beijing e Mogadiscio, nel solo modo possibile, ovvero senza troppe presentazioni e con un accostamento disinvolto e agile. Lo sportivo non trascura la descrizione del momento agonistico, così come il richiamo al nobile spirito che lo anima; quando parla di Samia lo fa con una partecipazione umana a cui è difficile non partecipare. Ho pianto nel leggere alcuni passaggi, che in traduzione sono segnalati in grassetto. Questo articolo è scritto con amore. In diverse forme: amore per lo sport, amore per gli esseri umani, per la pace, e per il coraggio di una ragazza.

Ho deciso di affidare alla traduzione la missione del racconto di Samia perché credo che le parole di chi l’ha conosciuta anche prima della tragedia siano le più potenti.

Non sono una traduttrice professionista, ho tradotto secondo la mia competenza maturata ‘sulla strada’ e il mio cuore, cercando di non tradire il senso. Ogni atto di traduzione è passibile di mille riflessioni, in questo caso c’è stata l’urgenza di far conoscere una storia e se qualcuno potrà contestarmi una parola tradotta sono sicura non potrà contestare il senso e il sentimento.

Una precisazione: ho avvertito Charles, lo scorso novembre, della mia intenzione di tradurre il suo articolo per parlare di Samia, riporto parte della sua risposta:

‘Please do translate my story. I would like everyone to know what kind of person she was’. (‘Per favore, traduci la mia storia. Mi piacerebbe che tutti sapessero che persona era’).

Da Charles Robinson, Yahoo! Sport, domenica, 24 agosto 2008.

BEIJING – Samia Yusuf Omar ha fatto ritorno in Somalia domenica, alla piccola casa di due stanze, a Mogadiscio, condivisa dai 7 membri della famiglia. Sua madre vive lì, vendendo frutta e verdura. Lì suo padre è sepolto, vittima di una granata d’artiglieria ribelle che colpì la sua casa e che uccise anche lo zio e la zia di Samia.

Questa è la storia delle Olimpiadi che non abbiamo mai ascoltato.

È di una ragazza per cui il suo momento a Beijing è durato appena 32 secondi – il più lento nei duecento metri rispetto alle altre 46 atlete che partecipavano alla competizione. Trentadue secondi che quasi nessuno ha visto ma che lei porta a casa con sé, accresciuti da gioia e meraviglia. A una guerra civile che dura da decenni e che molto ha raso al suolo della sua città. A un programma Olimpico con pochi Olimpionici e nessuna struttura. A pasti di pane non lievitato, porrige di grano e acqua di rubinetto.

“Ho il mio orgoglio” ha detto attraverso un traduttore prima di lasciare la Cina. “Questa è la cosa più alta che può sperare un atleta. È stata un’esperienza davvero felice per me. Sono orgogliosa di portare la bandiera somala da sventolare tra quelle di tutti questi Paesi, e di stare con i migliori atleti del mondo”.

Ci sono molte storie di vita che entrano in collisione in ogni Olimpiade – molti intriganti racconti di gloria e tragedia. Beijing ha portato l’elettricità di Usain Bolt e la determinazione di Michael Phelps. Ha lasciato i cuori pesanti per la delusione di Liu Xiang e la sofferenza di Hugh McCutcheon.

Ma ci ha anche dato Samia Yusuf Omar – una minuta ragazza da un Paese nel caos – e una storia di cui non se ne sarebbe parlato se non fosse stato per l’esultazione di uno stadio mezzo vuoto.

***

Era il 19  agosto, e la ragazza magrolina aveva attraversato sette corsie per raggiungere il suo blocco di partenza per i 200 metri. Passò davanti alla giamaicana Veronica Campbell-Brown – poi medaglia d’oro nella categoria. Samia aveva letto di lei nella riviste di settore e una volta l’aveva vista in TV, in estasi. Durante una  panoramica del cameraman sui blocchi di partenza, l’immagine si fermò sulla corsia n.2, su una ragazza di 17 anni con la corporatura di una corridrice di distanza Keniota. La biogafia di Samia nel sistema olimpico non conteneva quasi nessuna informazione, ad eccezione di altezza (1,62 m) e peso (54 kg). Nessuna menzione dei suoi record personali ne’ delle gare precedenti. La Somalia, come fu spiegato dopo, ha problemi nella gestione dei record dei suoi atleti.

Sembrava così strana e fuori posto tra le sue rivali, con la sua fascia bianca e la maglia che le cadeva larga e sblusata. Le gambe nella sua atletica figura erano lunghe e sottili, e le braccia le spuntavano dalle maniche come i rametti di un alberello. Si tirava l’orlo della maglia e lanciava fugaci occhiate nervose alle altre corritrici della sua linea. Tutte avevano muscoli rigonfi sotto le loro tute aderenti. Molte di loro pesavano quasi venti chili in più di Samia.

Dopo la presentazione, si inginocchiò sul suo blocco di partenza.

***

La Somalia ha inviato due atleti ai giochi di Beijing – Samia e il corridore di lunga distanza Abdi Said Ibrahim, che ha corso nei 5 km maschili. Come Samia, Abdi è arrivato ultimo, superato dai rivali che si erano allenati per il loro momento Olimpico. La Somalia ha solo programmi poco consistenti a supporto dei suoi atleti olimpionici, pochi allenatori, e pochi strumenti. Con una guerra civile che sta devastando la città dal collasso del governo somalo nel 1991, lo Stadio di Mogadiscio è diventato uno dei più sanguinosi esempi delle infrastrutture nella città – ospitando le forze delle Nazioni Uniti nei primi anni ’90 e ora è zona militare in mano ai ribelli.

Così per gli atleti non è rimasto che allenarsi nello Stadio Coni, una struttura sfregiata dall’artiglieria costruita nel 1958 che non ha piste, con enormi buche e ricoperta da erbacce e piante.

Gli sport non sono una priorità per la Somalia”, ha dichiarato Duran Farah, vicepresidente del Comitato Olimpico somalo. “Non ci sono risorse per gli attrezzi né per gli allenamenti. La guerra, la sicurezza, le difficoltà col cibo e con tutto – ci sono tanti altri problemi interni da affrontare”.

Questo lascia gli atleti come Samia e il diciottenne Abdi senza i normali confort e senza le strutture a portata di quasi tutti gli altri atleti dei Giochi Olimpici. Loro invece non ricevono un adeguato allenamento, non si affrontano in gare su base regolare e lottano per cercare di fare in sicurezza cose tanto semplici come uscire  per la corsa quotidiana.

Quando Samia non può farlo allo stadio, corre per le strade, tra barricate di pneumatici e immondizia in fiamme allestite dai ribelli. Viene spesso intimidita e minacciata dalle milizie o dai locali che credono che una donna mussulmana non debba praticare sport. Nella speranza di diminuire questi attacchi, corre nel caldo opprimente con le maniche lunghe, pantaloni da tuta e con la testa coperta. Anche così, le viene detto che il suo posto è a casa, non partecipando alle competizioni sportive.

“Per alcuni uomini, niente va mai abbastanza bene”, ha detto Farah.

Anche Abdi affronta costantemente difficoltà, passando attraverso i checkpoint militari dove viene percosso per soldi. E quando ha partecipato a gare ufficiali, i ribelli armati hanno minacciato la sua incolumità per quello che ai loro occhi era condiscendenza col governo ad interim.

“Una volta, i ribelli erano davvero scontenti”, ha detto. “Quando siamo tornati a casa, i miei amici ed io siamo stati circondati e ci fu detto che se l’avessimo fatto ancora, saremmo stati uccisi. Alcuni dei miei amici hanno abbandonato lo sport. Ho ricevuto molte minacce per telefono, dicevano che mi avrebbero ucciso se non avessi smesso di correre. Più tardi, non ho avuto questi problemi. Penso che probabilmente hanno capito che noi volevamo solo essere atleti e che non eravamo coinvolti con le faccende del governo”.

Ma il governo ad interim non è stato in grado di offrire supporto, al contrario investiva i suoi soldi e le sue energie fornendo armi agli alleati etiopi per la lotta contro i ribelli. Oltre a organizzare una gara per la selezione ai Giochi Olimpici – in cui la Federazione Olimpia somala ha scelto chi pensava fossero i due migliori atleti – poco è stato profuso in favore degli atleti. Mentre altri Paesi spendono milioni nell’allenamento e nel perfezionamento delle loro stelle olimpiche, la Somalia offre poca assistenza e nessun supporto medico, e neanche soldi per il cibo.

“Il cibo non è qualcosa che viene ponderato e datoci ogni giorno”, ha dichiarato Samia. “Mangiamo quello che possiamo”.

Nei giorni migliori, questo si traduce in assumere proteine da una piccola porzione di pesce, cammello o carne di capra, e carboidrati dalle banane o dagli agrumi che crescono sugli alberi locali. Nei giorni peggiori – e ce ne sono una lunga serie – questo significa vivere di pane e Angera, un pane non lievitato fatto di una mistura di grano e orzo.

“Non ci sono negozi di alimentari”, ha detto Abdi. “Non possiamo andare a comprare quello che vogliamo”.

Ride a questo pensiero, un sorriso che gli socchiude una bocca a cui manca il dente davanti.

Quando la pistola ha dato il via  alla gara di Samia nei 200 metri, sette donne sono scattate di colpo dai loro blocchi di partenza registrando qualcosa come 16/100 di secondo come tempo di reazione. Lo start di Samia era così lento che il computer non lo ha rilevato, lasciando bianca questa voce sulle statistiche della competizione.

In pochi secondi, sette concorrenti correvano come dei fulmini sulle curve del Nido d’uccello di Beijing, lottando per distanziarsi l’una dall’altra. Samia aveva appena imboccato la curva quando le sue rivali avevano quasi tagliato il traguardo. Una diretta televisiva locale l’ha completamente persa nel momento in cui Veronica Campbell-Brown ha attraversato la linea d’arrivo in 23.04 fulminei secondi.

Mentre le altre atlete si fermavano e si inginocchiavano, tra stretching e grandi boccate d’aria, una telecamera inquadrò il campo. Sullo sfondo, ecco un puntino bianco con una fascia che si avvicinava.

***

Fino ad oggi, Samia era stata in due Paesi stranieri, in Djibuti ed Etiopia. Alla domanda come descriverebbe Beijing,  strabuzza gli occhi e sorride sotto il cappello blu e bianco dei Giochi.

Lo stadio, non avrei mai creduto che esistesse qualcosa così  al mondo”, rispose. “Gli edifici della città, è tutto sorprendente. Probabilmente ci metteremo dei giorni a finire tutte le storie che abbiamo da raccontare”.

E sul  Centro Acquatico Nazionale di Pechino si lascia scappare solo un suono: “Ahhhhhhh”.

Prima che potesse rispondere, Abdi la interrompe.

“Non sapevo cosa fosse quando l’ho visto, è di plastica, è una magia?”

Pochi edifici sono in Mogadiscio, e quelli che rimangono sono praticamente in macerie. Solo le fotografie potranno descrivere alcune strutture di Beijing, dall’antica architettura della Città Proibita alla modernità del Centro Acquatico Nazionale e del Nido d’uccello.

La torcia olimpica nello stadio, ovunque io sia, è sempre lassù” ha detto Samia. “E’ come la luna. Guardo in su ovunque io vada, è sempre lì”.

Ci sono le storie che si gusteranno al ritorno in Somalia, che loro credono abbiano, per un breve istante, unito le tribù in guerra del Paese. Farah ha detto di aver ricevuto chiamate da tutto il mondo, i connazionali volevano sapere come stessero i due atleti e che esperienza avessero avuto in Cina. La mattina della competizione di Samia, erano appena passate le 5 e alcuni suoi vicini si stavano azzuffando per trovare una televisione in grado di ricevere il segnale.

“La gente rimase sveglia per seguire la gara”, ha detto Farah. “Una buona cosa, lo sport è una cosa che unisce la Somalia”.

Questo è uno dei fili rossi che accomunano tutti gli atleti di giochi. Essere un atleta olimpionico e portare la bandiera nazionale porta un immenso senso di orgoglio alle famiglie e ai vicini che normalmente conoscono solo disperazione.

Un orgoglio che Samia condividerà con sua madre, tre fratelli e tre sorelle. Un orgoglio che Abdi porterà a casa da suo padre, due fratelli e due sorelle. Come il padre di Samia anni fa, la madre di Abdi è stata uccisa durante la guerra civile, da un mortaio che ha colpito la casa di famiglia nel 1993.

Siamo molto orgogliosi”, ha dichiarato Samia, “grazie a noi, la bandiera somala si è alzata tra tutte le bandiere delle altre nazioni. Non si può immaginare quanto eravamo orgogliosi quando stavamo marciando con la bandiera durante la Cerimonia d’apertura.”

“Nonostante le difficoltà e tutto quello che abbiamo passato con la nostra nazione, ci sentiamo molto orgogliosi per la nostra impresa”.

***

Mentre Samia percorreva l’ultimo rettilineo nei suoi 200 metri, realizzò che la Federazione Olimpica Somala aveva scelto di metterla nel posto sbagliato. I 200 metri non erano propriamente la competizione più adatta per una corritrice di media distanza. Ma la federazione pensava che la corsa sarebbe servita da “buona esperienza” per lei. Ora stava percorrendo il rettilineo da sola, pompando le braccia e inclinando la testa sul lato con una espressione disperata.

All’improvviso, lo stadio mezzo vuoto realizzò che c’era ancora un’atleta in pista, che tentava ancora di tagliare la linea d’arrivo quasi otto secondo dietro le sette donne che avevano già terminato la gara. Negli ultimi 50 metri, quasi tutti nello stadio si alzarono, sommergendo la pista di sotto con tifo d’incoraggiamento. Alcune concorrenti che avevano lasciato dietro Samia tornarono indietro per assistere a questo.

Non appena Samia tagliò il traguardo in 32.16 secondi, la folla esplose in applausi. L’atleta delle Bahamas Sheniqua Ferguson, la seconda atleta più minuta in pista con 170 cm di altezza e 59 chili, guardò la ragazza che tagliava il traguardo e pensò tra sé: “Wow, è magra”.

Deve amare correre”, disse più tardi Ferguson.

***

Alcuni giorni dopo, Samia congedò il suo momento ai Giochi Olimpici come un’ispirazione. Ancora piena di gioia per aver potuto competere, e sebbene sapesse di aver fatto tutto quello che poteva, parte di lei sembrava in imbarazzo per il fatto che la folla si era alzata in piedi per aiutarla ad attraversare il traguardo.

“Ero contenta che il pubblico stava facendo il tifo  per me e mi stava incoraggiando”,  ha detto. “Ma mi sarebbe piaciuto che esultasse per me se avessi vinto, non perché avessi bisogno di supporto. E’ un qualcosa su cui lavorerò. Farò il mio meglio per non essere l’ultima, la prossima volta. E’ stato molto bello che le persone mi abbiano sostenuto così tanto, ma preferirei il tifo per una che vince”.

Si strinse nella spalle, e sorrise.

“Sapevo che sarebbe stata un’impresa in salita”.

E così. Mentre si promuovono le Olimpiadi per gli atleti più veloci, forti ed agili, c’è qualcosa che deve essere detto per quelli che finiscono lontano dalle luci della ribalta. Quelli che finiscono ultimi e vanno via col loro orgoglio.

Nel loro spirito, la Olimpiadi ancora significano competizione e purezza, amore per lo sport. Cosa lo rappresenta meglio di due atleti che portano la loro bandiera ai Giochi, nonostante l’incapacità della loro nazione di portarli davanti a quel momento? Quale miglior modo di cogliere il più genuino spirito olimpico se non guardare a quelli che tengono così duro tanto che lo romperebbero?

“Sappiamo di essere diversi dagli altri atleti”, Samia ha detto. “Ma non vogliamo darlo a vedere. Abbiamo fatto il nostro meglio per sembrare come gli altri. Sappiamo benissimo che siamo ben lungi dal livello degli altri atleti. Lo sappiamo molto, molto bene. Ma più di qualsiasi altra cosa, noi volevamo dimostrare la nostra dignità e quella del nostro Paese.”

Vai oltre il ri…

Vai oltre il ritorno
Porta sulle spalle un remo
Abbandona la casa e vai errante nel sole
Fino a gente che non batte il dorso del mare
Che non conosce i cibi conditi col sale
Che confonderà il remo con un ventilabro
Un rastrello per spargere intorno sementi
Per pettinarle nelle crine dei venti
Lì lo poserai offrirai sacrifici
La morte ti coglierà dal mare

Da ‘Dimmi Tiresia’ di Vinicio Capossela

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Per capire bene che valore puo’ avere lo sport

Screen Shot 2014-01-10 at 1.23.02 PMPer capire bene che valore puo’ avere lo sport

La storia di Ivana Di Martino, che passeggiando nel verde ha scoperto la sua strada da (per)correre.

”Ho pensato alla corsa, che per me è espressione di energia, di libertà assoluta, ho deciso di metterla al servizio delle donne che il destino ha costretto, loro malgrado, alle difficoltà.”

 

http://www.alfemminile.com/donne-societa-diritti-della-donna/intervista-a-ivana-di-martino-d52880.html

Fonte: alfemminile.com